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Tutto quello che c’è da sapere sul cotone, parte 4: i falsi miti sulla coltivazione del cotone e cinque cose da ricordare

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Sei un vero esperto del cotone! Ora che sai tutto sulla differenza tra l’agricoltura convenzionale industriale e quella biologica, l’attuale mercato, i tipi di semi e le specificità geografiche, è arrivato il momento di ricapitolare i punti chiave e sfatare alcuni comuni falsi miti sulla coltivazione del cotone nell’ultimo capitolo della nostra serie.


1. Il cotone non consuma tanta acqua


Ci sono molti pregiudizi sulla coltivazione del cotone, in particolare per quanto riguarda l’uso di acqua. Le pratiche agricole moderne e convenzionali presentano diversi problemi, ma il reale impatto della coltivazione del cotone dipende da diversi fattori, come l’area geografica e la tipologia di seme e terreno. 


Hai mai sentito dire che il cotone è una coltura che beve molto? Ecco, questo non è vero. Il lago d’Aral viene spesso citato come esempio: si crede che questo enorme specchio d’acqua nell’Asia centrale sia stato prosciugato per irrigare i campi di cotone. Sfortunatamente, si è trattato solamente di un caso di cattiva amministrazione e non un indicatore di quanta acqua consuma il cotone. 


La falsa notizia che il cotone consuma molta acqua è stata diffusa da una società che ha sviluppato una tecnologia per stampare sui tessuti senza utilizzare acqua che funziona solamente sul poliestere. Per promuovere l’innovazione, ha quindi lanciato un blog presentando il risparmio di acqua come la priorità della transizione sostenibile e, di conseguenza, dichiarando che le fibre sintetiche erano più attente all’ambiente di quelle naturali, per le quali molte risorse idriche venivano sprecate, come il cotone. Questo spiega perché se cerchi su Internet quanta acqua serve per produrre un paio di jeans trovi spesso un numero approssimativo di 10mila litri. 


Il cotone è in realtà una coltura resistente alla siccità, che prospera nei climi caldi e secchi anche nei periodi di maggiore stress idrico. In queste situazioni, la crescita delle foglie rallenta per favorire i fiori e, infine, le fibre, che ricevono la poca acqua disponibile. Secondo un’analisi di Cotton Inc., nel 2020 il cotone ha consumato dall’1% al 6% dell’acqua globalmente usata per l’agricoltura. Le pratiche agricole, la varietà di cotone, l’origine dell’acqua, la tecnologia di irrigazione, l’area geografica, la salute del suolo e l’uso degli input determinano la quantità di risorse idriche impiegata e, soprattutto, sprecata per irrigare i campi. 


2. Il cotone non richiede troppi pesticidi 


Una situazione simile si ha per i pesticidi, erbicidi, insetticidi e fungicidi inclusi. Dopo aver diffuso la notizia sull’acqua sprecata per produrre le fibre naturali, la società che si occupava di tessuti sintetici ha avvisato i consumatori dell’alto numero di pesticidi di cui necessita il cotone


Il cotone viene quindi spesso citato come uno dei maggiori consumatori di pesticidi agricoli, ma i dati a cui solitamente ci si riferisce sono obsoleti e incompleti. È vero che il cotone è vulnerabile a diversi tipi di parassita, 480, ma esistono numerose differenze regionali nell’utilizzo dei pesticidi, sebbene esso sia generalmente diminuito dopo il picco degli anni ‘80. 


Non tutti i pesticidi sono dannosi. Talvolta, essi sono addirittura necessari e benefici per le persone e l’ambiente. Devono solamente essere usati correttamente


Ovviamente, si può sempre migliorare, ma è fondamentale ricordare che le pratiche e le tecnologie si evolvono continuamente, diventando più efficienti. 


3. L’agricoltura rigenerativa potrebbe diventare più diffusa di quella organica 


Nonostante tutte le complicazioni, il futuro del cotone sembra promettente. Consumatori, brand e coltivatori stanno chiedendo una riduzione del suo impatto ambientale e sociale e più trasparenza nella sua catena di approvvigionamento, quindi è probabile che il cotone rigenerativo aumenti la sua quota di mercato e, infine, diventi più diffuso delle altre varietà di cotone sostenibile. 


L'agricoltura rigenerativa è flessibile e attenta alla necessità dei coltivatori. L'agricoltura organica si concentra sui processi, definendo delle precise regole da seguire per coltivare in modo responsabile per l’ambiente e la società, mentre quella rigenerativa si focalizza sui risultati, con l’obiettivo di ripristinare gli ecosistemi naturali. Inoltre, l’agricoltura organica elimina le sostanze tossiche e gli OGM (organismi geneticamente modificati), ma non evita necessariamente l’utilizzo di altre pratiche potenzialmente dannose, come l’aratura, e talvolta ha dei processi di certificazione eccessivamente complicati. Organico e rigenerativo non sono comunque rivali e potrebbero addirittura diventare complementari


È necessario assicurarsi che l’agricoltura rigenerativa non diventi il prossimo stratagemma di greenwashing, ma questo controllo non dovrebbe a sua volta diventare una barriera all’entrata come con l’organica. Ogni cambiamento positivo dovrebbe essere incoraggiato. 


4. Non tutti i tipi di cotone sono uguali


Come spiegato nel nostro terzo capitolo, la differenza parte dal seme del cotone. Oltre alle differenti pratiche agricole, molto lavoro viene fatto per aumentare la diversità nei tipi di cotone disponibili, che favorisce anche l’agricoltura rigenerativa. Al contrario, gli OGM, che hanno preso il sopravvento sul mercato, utilizzano una piccola base genetica per la creazione dei prodotti e si concentrano maggiormente sul tratto da inserire nel genoma. 


5. Il cotone ha bisogno di più trasparenza


Da ultimo, ma non per importanza, il cotone ha bisogno di una maggiore trasparenza. L'industria tessile dovrebbe adottare un approccio più diretto e trasparente a iniziare dalle aziende agricole per supportare attivamente la creazione di una catena di approvvigionamento del cotone più responsabile per l’ambiente e la società. Il nostro cotone Blue Seed è un esempio di progetto ideato per tracciare ogni momento della catena di approvvigionamento a iniziare dal seme. 


Le caratteristiche proprie del settore del cotone rendono complesso assicurare tracciabilità e trasparenza. Per esempio, diversi fornitori sono piccoli proprietari terrieri che mescolano la loro raccolta nella sgranatrice ed è quindi impossibile tracciare il cotone fino all’azienda agricola e sapere com’è stato coltivato. Questo è un vero problema, in quanto l’industria sta provando a tutelare i diritti dei lavoratori ed eliminare le sostanze chimiche pericolose e la contaminazione non richiesta, e i consumatori, i brand e i rivenditori stanno chiedendo più trasparenza. 


Le certificazioni possono essere usate per verificare le informazioni sul cotone, ma non sono sempre la soluzione perfetta, in quanto ci sono casi di frode o mancanza di supervisione. 



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